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Janusz korkzac

Dici: -il mio bambino-. Quando, se non durante la gravidanza, ne hai maggior diritto ? Il battito del suo cuore, minuscolo come un nocciolo di pesca, è eco del tuo. Il tuo respiro porta ossigeno anche a lui. Un unico sangue scorre in lui e in te, e neanche una delle sue rosse gocce potrebbe dire di sapere se rimarrà tua o se diverrà sua (…).

 Il boccone di pane che stai masticando gli serve per formare le gambe sulle quali un giorno correrà, la pelle che lo rivestirà, gli occhi con cui guarderà, il cervello in cui farà risplendere il pensiero, le mani che tenderà verso di te.

Fra quindici anni lui guarderà verso il futuro, tu verso il passato. In te ricordi e abitudini, in lui tendenza ai cambiamenti e fiere speranze. Tu dubiterai, lui attenderà con fiducia, tu paventerai, lui non avrà timore.

“Il bambino pensa con il sentimento, non con l’intelletto”. Janusz Korczak (1878-1942) non era uno psicologo, ma aveva trovato la chiave per entrare nel mondo dei bambini. Era pediatra, pedagogo, scrittore, poeta, libero pensatore. Era anche ebreo (il vero nome era Henryk Goldzmit) e per questo ha terminato prematuramente la sua vita nel campo di sterminio di Treblinka nel 1942 assieme a duecento bambini ospiti di quella Casa dell’Orfano che dirigeva da circa trent’anni a Varsavia.

 Lentamente, ma con grande lucidità, maturò l’idea, oggi attualissima, che per aiutare i bambini a crescere occorreva considerarli nella loro globalità e integrità, unificando i saperi della medicina, della psicologia, della pedagogia, della sociologia, ma anche della storia, della poesia, della religione…

Korczak aveva imparato a vedere il mondo con gli occhi dei bambini. Lo dimostra anche un suo romanzo, intitolato “Quando ridiventerò bambino” del 1924, nel quale racconta la giornata di un bambino di otto anni attraverso il suo particolare punto di vista. Nei suoi scritti sono numerose le sollecitazioni per “entrare” nell’ottica del bambino (o per tornare a vedere il mondo come quando eravamo piccoli). Sul tema dei diritti del bambino Korczak si è dimostrato particolarmente profondo, lucido e in grande anticipo rispetto alla società del suo tempo: nel 1929 scrisse “Il diritto del bambino al rispetto”, un’intera opera dedicata a questo argomento.

 Con parole appassionate Korczak spiega che è possibile riconoscere i diritti dei bambini soltanto quando si è capaci di capire i bambini, il loro mondo e i loro bisogni di crescita, quando si è capaci di vedere e di sentire come vedono e sentono loro, quando si riesce a considerare il loro mondo allo stesso livello di importanza del nostro: questo aveva imparato dai suoi ragazzi, questo era stato capace di fare nel corso della sua vita.

L’indipendenza mi pare significhi possesso: io dispongo della mia persona. Nella libertà esiste un elemento volitivo e quindi di azione che sgorga dalla volontà. Le nostre stanze dei bambini con i mobili sistemati simmetricamente, i nostri giardini pubblici leccati non sono il campo dove si può manifestare l’indipendenza, né un laboratorio dove l’attiva volontà del bambino possa concretizzarsi.

Dappertutto trappole e pericoli, minacce e disgrazie che incombono. E se il bambino ti crederà e non mangerà di nascosto una libbra di prugne e ingannando la vigilanza con il batticuore non giocherà in un angolo con i fiammiferi, se ubbidiente, passivo, fiducioso, si sottometterà alla richiesta di evitare tutte le esperienze, di rinunciare a prove e tentativi, di schivare gli sforzi, ogni moto della volontà, che farà quando nel suo intimo sentirà qualcosa che ferisce, che brucia, morde ?

Per timore che la morte possa strapparci il bambino, strappiamo il bambino alla vita; per impedire che muoia non lo lasciamo vivere (…). Per un domani che non capisce né ha bisogno di capire lo derubiamo di molti anni di vita.

Quando parlo o gioco con un bambino, un istante della mia vita si unisce a un istante della sua e questi due istanti hanno la stessa maturità.

Carichiamo (l’infanzia) del fardello dei doveri dell’uomo di domani, senza riconoscerle alcuno dei diritti dell’uomo d’oggi.

Il bambino cresce, vive con intensità sempre maggiore, la sua respirazione si fa più rapida, il cuore batte più veloce; costruisce il suo essere, si sviluppa, si addentra più profondamente nella vita. Cresce giorno e notte: durante il sonno, mentre gioca, ride o piange e anche quando commette delle sciocchezze.

(…) e quando finalmente il domani è arrivato, noi aspettiamo ancora, giacchè l’opinione di fondo che il bambino non è ancora nulla, ma che sarà, che non sa ancora nulla, ma saprà, che non può ancora nulla, ma potrà, ci costringe ad una continua attesa. La metà dell’umanità non esiste nel pieno senso della parola; la sua vita non è che un gioco; le sue aspirazioni sono ingenue, i suoi sentimenti fugaci, le sue opinioni ridicole. I bambini sono diversi dagli adulti, manca qualcosa nella loro vita, eppure c’è qualcosa in più che nella nostra.

 

I bambini costituiscono una percentuale importante dell’umanità, delle sue genti, popoli e nazioni, in quanto abitanti, concittadini nostri, nostri compagni di sempre. Sono stati, sono, saranno. Una vita tanto per ridere non esiste. No, l’infanzia sono lunghi e importanti anni nella vita di un uomo.

 

Lasciamo che il bambino si abbeveri fiducioso nell’allegria del mattino (…)